Trasparenza. E’ diventata una delle parole chiave nella faida che si è recentemente creata nel dibattito tra pagamenti con contanti o attraverso i nuovi strumenti digitali.

Se da una parte resta assodata la consuetudine dei consumatori ad utilizzare il cash per diversi tipi di transazioni, l’utilizzo di strumenti di pagamento digitale resta un’arma indispensabile per la lotta all’evasione fiscale.

Proprio in questi giorni la duplicità nelle opzioni di pagamento ha portato dei problemi al principale colosso di home sharing al mondo, Airbnb.

La cosiddetta “Legge Airbnb”, entrata in vigore dal 1 giugno 2017, prevede una transazione secca del 21%, “per gli affitti brevi inferiori ai 30 giorni, stipulati da persone fisiche direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, anche attraverso la gestione di portali online”.

Il provvedimento, oltre a danneggiare il colosso americano, mette anche in difficoltà gli host (coloro che mettono a disposizione uno spazio da affittare) che secondo questa nuova imposta dovranno trasformarsi in albergatori improvvisati, pagando l’imposta con la dichiarazione dei redditi. 

Senza entrare nel merito giuridico della vicenda, il caso apre un’ulteriore scissione tra le due tipologie di pagamento che, come spesso annunciato, non sono in un perenne stato di opposizione, ma al contrario sono alla ricerca di un modo per convivere serenamente.

Per Airbnb, infatti, la sentenza mortifica “l’unico barlume di trasparenza in un settore in cui 7 pagamenti su 10 avvengono ancora cash”. L’imposta potrebbe spingere infatti molti proprietari di case registrati sul portale americano a migrare verso piattaforme in cui è più facilitato il pagamento in contanti.

Quello che poteva essere insomma un sistema economico che promuoveva e tutelava i pagamenti digitali e che di conseguenza incentivava la riduzione del cash, per arginare le transazioni non tracciate, potrebbe subire un brusco rallentamento.